Errare humanum est … e a volte è pure utile!
430
post-template-default,single,single-post,postid-430,single-format-standard,bridge-core-3.1.2,qode-page-transition-enabled,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_grid_1300,footer_responsive_adv,qode-theme-ver-30.1,qode-theme-bridge,wpb-js-composer js-comp-ver-7.2,vc_responsive,elementor-default,elementor-kit-589

Errare humanum est … e a volte è pure utile!

Errare humanum est … e a volte è pure utile!

Tendenze e approcci all’errore nell’uso della lingua e nella traduzione

Lo so, l’ho sentito mille volte: è importante scrivere in modo corretto, per tutti, ma soprattutto per chi come me con le parole ci vive e ci convive. E come tutte le convivenze, ahimè, anche questa non è tutta rose e fiori. Certamente la correttezza è importante, ma ad essere sincera a volte, nel mio lavoro di traduttrice, mi sono trovata a pensare a quanto sia veramente giusto e opportuno criticare o addirittura bocciare un uso meno corretto della lingua, etichettandolo semplicemente come “scorretto”.
Se, infatti, da un lato l’errore distrugge o può distruggere il significato di un termine o di una frase, dall’altro crea una novità e quindi contribuisce all’evoluzione della lingua e quella che all’inizio sembra una violazione o quanto meno forzatura delle regole può con il tempo diventare la norma.
Questo “cruccio”, chiamiamolo così, mi frullava per la testa già da un po’ e pensavo di essere un po’ paranoica su questo fatto. Invece nei giorni scorsi, partecipando al convegno Italiano corretto tenutosi a Pisa, ho potuto constatare che ne parlano e lo esaminano linguisti, sociologi, storici della lingua, scrittori, giornalisti, ecc.

Uso della lingua: le tendenze attuali

Al convegno, infatti, sono emersi alcuni interessanti spunti di riflessione sulle tendenze attualmente più evidenti nell’uso dell’italiano, che ritrovo spesso anche nei testi da tradurre o in quelli da revisionare o ancora (e molto più spesso) nel parlato quotidiano. Eccone qua una lista, incompleta ovviamente:

Monocromatismo o cripticismo della lingua
Come ben evidenziato dal prof. Massimo Arcangeli, è sempre più evidente la dicotomia tra l’uso di una «terminologia semplificata», quasi banale, dettata da una scarsa conoscenza delle sfumature di significato e dell’etimologia delle parole, e l’uso in alcuni ambiti, come per es. quello legale o burocratico, di una «terminologia criptica», contorta e a volte arcaica e di difficile comprensione
Eccessivo uso di forestierismi
Chi non ha notato come negli ultimi anni l’italiano sia stato letteralmente invaso dalle parole straniere, soprattutto dagli anglicismi? Parole che spesso vengono usate a sproposito con il solo intento di sembrare più colti o alla moda oppure fanno parte di uno slang tutto particolare, per es. quello dei giovani, o ancora rispondono a reali mancanze della lingua italiana
Uso scorretto del congiuntivo e del condizionale
Condivido pienamente la visione emersa nell’intervento della prof.ssa Bricchi al convegno di qualche giorno fa, secondo cui «l’italiano soffre di congiuntivite acuta», ossia un uso scorretto in cui il congiuntivo viene utilizzato in modo improprio o eliminato del tutto o sostituito dall’indicativo presente, così come avviene del resto anche con il condizionale
Ipercorrettismo formale
L’eccessiva correttezza o «perfettinismo formale», come lo ha definito Federica Aceto al convegno, è un’altra tendenza evidente nella lingua italiana odierna. La tendenza ad usare uno stile eccessivamente formale ha come conseguenza l’appiattimento della lingua e deriva molto spesso dall’incertezza del parlante/scrivente
Eccessiva creazione di neologismi
La tendenza odierna a inventare parole nuove non è una novità del nostro tempo, è sempre esistita e anzi è la forza motrice della stessa evoluzione linguistica. Tuttavia, oggi si assiste ad un’esagerazione in questo senso che sfocia a volte nella creazione di neologismi inutili o quanto meno assurdi.

Uso della lingua: l’errore è davvero così abominevole?

Riflettendo su queste tendenze mi sono resa conto che, per quanto difficili siano da accettare e a volte facciano venire addirittura i brividi, fanno comunque parte dell’attuale evoluzione della nostra lingua e pertanto, come ben espresso da Vera Gheno al convegno, «è inutile combatterle a priori perché, se la gente continuerà a seguirle, è destino che entrino nella lingua».
È molto meglio allora, soprattutto per noi traduttori che con la lingua ci lavoriamo, comprenderne i motivi e capire se effettivamente quelli che consideriamo errori possano essere perfino utili o necessari, soprattutto nella traduzione. Riconsiderando le tendenze sopra esposte e partendo del presupposto che scopo primario della lingua e della traduzione è comunicare in modo efficace il messaggio, alla fine sono giunta ad alcune conclusioni:

• L’errore non è brutto o sbagliato di per sé, anzi a volte è «foriero di nuovi significati delle parole, simbolo della fluidità della lingua», per dirla con Stefano Bartezzaghi della Settimana Enigmistica. Nella traduzione a volte l’errore può rendersi necessario, basti pensare alla necessità di rendere un’espressione dialettale o gergale presente nell’originale, che se tradotta in italiano corretto perderebbe molto del suo fascino.
• La semplificazione può essere accettabile e addirittura auspicabile se è finalizzata a dare maggiore trasparenza ed efficacia al messaggio. Quanto sarebbe più comprensibile un testo legale o burocratico se si usasse un linguaggio più semplice! Occorre, tuttavia, far attenzione a non cadere nella banalità, per cui è sempre utile consultare un dizionario etimologico alla ricerca di termini adatti, semplici, ma non scontati.
• Il rapporto con i forestierismi deve essere equilibrato, soprattutto nella traduzione: la parola straniera è accettabile e anzi talvolta necessaria, per es. quando si devono rendere concetti culture-bound o se non esiste un corrispondente accettabile e trasparente. Ad ogni modo, a meno che non si usino termini entrati ormai nell’uso comune anche in italiano, è sempre bene inserire una spiegazione a piè di pagina.
• L’uso del congiuntivo e del condizionale dovrebbe essere mantenuto nei limiti delle regole, anche se a volte soprattutto con il congiuntivo non è sempre facile. In italiano ci sono verbi, come per es. “sostenere”, che hanno diverse sfumature e possono reggere sia il congiuntivo che l’indicativo. Spesso occorre fare un’attenta analisi del significato del verbo nella frase per capire se usare o meno il congiuntivo.
• Il cosiddetto perfettinismo è da evitare, soprattutto nella traduzione editoriale, dove spesso il traduttore si avvicina ad essere uno scrittore e deve rendere in modo creativo e fedele lo stile dell’autore. Inoltre, l’uso di forme ipercorrette è sinonimo di incertezza e può creare anche un effetto paradossale e/o conferire un significato fuorviante alla frase.
• I neologismi devono essere usati con consapevolezza, la novità va incentivata solo se rende più semplice e trasparente la comunicazione. Nella traduzione, la creazione di neologismi può essere utile, se non esiste un termine corrispondente e non si vuole lasciare il termine in lingua originale, o anche necessaria, se anche il termine nel testo originale è inventato, come per es. nella serie di Harry Potter.

Quindi … che errore sia … ma con i piedi di piombo!